Assunta Viscardi (Bologna, 11 agosto 1890 Bologna, 9 marzo 1947) stata un'insegnante italiana, fondatrice dell'Opera di San Domenico per i Figli della Divina Provvidenza. Il 9 marzo 2009 (nello stesso anno è stata proclamata
Serva di Dio) la Chiesa cattolica ha aperto il processo diocesano di beatificazione e canonizzazione, conclusosi il 16 aprile 2011 nella Basilica di S. Domenico. Il processo prosegue ora presso la Congregazione per le cause dei santi.
Prego molto il Signore, perchè mi doni la carità, perchè accresca in me in luce ed intelligenza, onde essere strumento di bontà, secondo giustizia, con discernimento degli spiriti e delle necessità, per porgere soccorso materiale e spirituale in maniera adeguata senza contristare mai, senza mortificare mai, con carezzevole soffio di infinita generosità e delicatezza.
Assunta Viscardi (Strenna 1944)
Assunta Viscardi va ricordata soprattutto come educatrice, perché ha amato i bambini più di se stessa. Diceva che ogni bambino deve avere «la sua speciale carezza, uno speciale senso di protezione, di cura, di affetto, come se fosse unico». E aggiungeva che bisogna educare alla bellezza, perché «far sentire, capire, apprezzare la bellezza è mettere basi di felicità e di bontà». A tale scopo ha continuato sempre a fare la maestra, benché fosse completamente assorbita dall'Opera di S. Domenico, e ha scritto molti libri, 33, e numerosissimi articoli.
Il suo modello di vita fu San Domenico di Guzman, “Patrono degli erranti”, come lo definisce Assunta, o, ciò che è lo stesso, l’araldo della “carità della verità”, come è maggiormente conosciuto.
A lei è dedicato una scuola elementare (primaria A.Viscardi, Istituto Comprensivo Statale 12 Bologna); le sue spoglie giacciono all'Istituto Farlottine - scuole San Domenico, che ne ha raccolto l'eredità spirituale.
Santa Assunta Viscardi, che correggeva compiti
e abbracciava le prostitute disperate.
Nel 1939, il giornalista Enzo Biagi intervistò Assunta Viscardi per il giornale "Oggi", sono passati tanti anni e da via Rolandino ci siamo spostati a pochi metri, in piazza S. Domenico, la fila fuori dalla porta c'è sempre, le nostre richieste le affidiamo a fb, lei scriveva una rubrica e li chiamava desideri ma ora come allora, siamo aperti a tutte le persone in difficoltà, che abbiano bisogno di una coperta o di una parola di conforto.
"Facevo il cronista e mi dissero di andare a trovarla, per cavarci mezza colonna e non di più; nevicava ed io non avevo voglia di cercare una maestrina che faceva della carità, immaginavo una vecchia zitella bigotta, di quelle che si occupano con morbosa tenacia di cani o di bambini.
Via Rolandino era buia e feci fatica a scovare il portoncino della «Pia Opera di San Domenico per i Figli della Provvidenza»: entrai in una stanzetta fredda, piena di strana roba, una culla, materassi, vestiti, brocche, un cavallo a dondolo, libri, vasi da notte, un pendolo, un cappello da bersagliere.
C’era una vecchietta che tremava e mi ricordava «La sgnera Catereina» di Testoni, grassoccia e petulante. Mi disse che «la signorina» avrebbe tardato poco, anche quei signori la aspettavano. «Quei signori» erano una ragazza dalle labbra molto rosse e dalla faccia gialla, che teneva tra le braccia un bambino nato da poco e che si lamentava di continuo, un ometto sulla sessantina con in testa una tuba e protetto da un mantello, la «capparella», come la chiamano qui, un giovanotto molto robusto che doveva essere stato più volte in contatto con la «benemerita» e due donne di quelle che al mattino presto vanno a spazzare gli uffici o le trovi anche di gennaio a sciacquar panni nell’acqua gelida del canale.
La vecchietta sembrava, oltre che una assistita, la custode del locale e dei vari arnesi che riempivano alcuni scaffali (...).
Finalmente «la signorina» arrivò, i poveri dissero tutti assieme «buonasera» e lei rispose sorridendo. Prima sbrigò, il giovanotto che mise in tasca qualcosa e se ne andò senza salutare nessuno, poi il vecchio le parlottò in un orecchio, la maestrina frugò un poco negli scaffali e tirò fuori, con molta soddisfazione, un paio di mutande da uomo, di quelle lunghe, coi lacci in fondo, che l’individuo in tuba esaminò attentamente, incartò e portò via. Toccò, chiamiamole cosi, alle due operaie; una voleva mettere «la piu piccola» in collegio, all’altra serviva un materasso e lo ebbe. Una sola disse: «Pregherò per lei», e aveva gli occhi lucidi.
Poi fu la volta della ragazza col figlio, e la signorina Assunta le chiese: «Fai sempre quella vita?», la donna fece di si col capo. «Vuoi lasciarlo vero?». La donna fece di si ancora, poi scoppiò a piangere, forte senza ritegno. Allora vidi la maestrina che l’abbracciava: «Non fare cosi», diceva, «coraggio, non fare cosi». Ma la ragazza continuava a piangere, e allora la signorina Assunta aprì la borsetta, le diede il cavallino a dondolo. «Gli piacerà più avanti», disse, e pregò la donna di tornare nel pomeriggio del giorno seguente: «Vedrai che qualcosa combineremo, lasciami pensare. Ma non devi piangere, non devi fare cosi».
«Io», dissi, «ho bisogno di qualche notizia, per il giornale. Quello che lei fa per i poveri, mi racconti ciò che crede».
«Parli dei poveri», disse, « c’è tanto bisogno».
La guardavo e mi accorsi che non era poi tanto vecchia, anzi aveva qualcosa di molto giovanile nel comportamento, qualcosa di fresco e di lieto che molti perdono negli anni. Era simpatica, per niente una donna come tante, all’aspetto; la trovai anche graziosa. Mi mostrò un libro: «E’ la mia strenna: ogni anno ne scrivo una», e dei foglietti che erano il giornalino dell’Opera, e lei scriveva tutto, col nome di Vittoria, dalla prima all’ultima riga.
Vi era, nel giornalino, una rubrica, Desideri, che annotava le necessità di una numerosa schiera di sconosciuti: «Gianni è piccolo e vorrebbe una tromba», «Mi occorre del latte Mellin», «Mariuccia, che si sposa, ha bisogno delle scarpe» (...).
E’ morta a cinquantasei anni, dilaniata dal male, e dietro alla cassa di quercia che conteneva il suo corpo leggero c’era un lungo corteo, i frequentatori di via Rolandino. Tante Mariucce, Gianni, tanti ometti con la tuba, giovani traviate, e anche facce note alla polizia. Non so chi, quest’anno, compilerà la “Strenna”, chi scriverà il giornalino. Io spero, un giorno, di vedere la maestrina in San Pietro: ma non le facciano, i pittori, l’aureola attorno al capo. Era una santa allegra, simpatica, portava un cappellino di panno marrone, da pochi soldi, e penso che quei raggi che dissolvono attorno alla testa non le piacerebbero, farebbero ridere .Santa Assunta Viscardi, che correggeva compiti e abbracciava le prostitute disperate."
Via Rolandino era buia e feci fatica a scovare il portoncino della «Pia Opera di San Domenico per i Figli della Provvidenza»: entrai in una stanzetta fredda, piena di strana roba, una culla, materassi, vestiti, brocche, un cavallo a dondolo, libri, vasi da notte, un pendolo, un cappello da bersagliere.
C’era una vecchietta che tremava e mi ricordava «La sgnera Catereina» di Testoni, grassoccia e petulante. Mi disse che «la signorina» avrebbe tardato poco, anche quei signori la aspettavano. «Quei signori» erano una ragazza dalle labbra molto rosse e dalla faccia gialla, che teneva tra le braccia un bambino nato da poco e che si lamentava di continuo, un ometto sulla sessantina con in testa una tuba e protetto da un mantello, la «capparella», come la chiamano qui, un giovanotto molto robusto che doveva essere stato più volte in contatto con la «benemerita» e due donne di quelle che al mattino presto vanno a spazzare gli uffici o le trovi anche di gennaio a sciacquar panni nell’acqua gelida del canale.
La vecchietta sembrava, oltre che una assistita, la custode del locale e dei vari arnesi che riempivano alcuni scaffali (...).
Finalmente «la signorina» arrivò, i poveri dissero tutti assieme «buonasera» e lei rispose sorridendo. Prima sbrigò, il giovanotto che mise in tasca qualcosa e se ne andò senza salutare nessuno, poi il vecchio le parlottò in un orecchio, la maestrina frugò un poco negli scaffali e tirò fuori, con molta soddisfazione, un paio di mutande da uomo, di quelle lunghe, coi lacci in fondo, che l’individuo in tuba esaminò attentamente, incartò e portò via. Toccò, chiamiamole cosi, alle due operaie; una voleva mettere «la piu piccola» in collegio, all’altra serviva un materasso e lo ebbe. Una sola disse: «Pregherò per lei», e aveva gli occhi lucidi.
Poi fu la volta della ragazza col figlio, e la signorina Assunta le chiese: «Fai sempre quella vita?», la donna fece di si col capo. «Vuoi lasciarlo vero?». La donna fece di si ancora, poi scoppiò a piangere, forte senza ritegno. Allora vidi la maestrina che l’abbracciava: «Non fare cosi», diceva, «coraggio, non fare cosi». Ma la ragazza continuava a piangere, e allora la signorina Assunta aprì la borsetta, le diede il cavallino a dondolo. «Gli piacerà più avanti», disse, e pregò la donna di tornare nel pomeriggio del giorno seguente: «Vedrai che qualcosa combineremo, lasciami pensare. Ma non devi piangere, non devi fare cosi».
«Io», dissi, «ho bisogno di qualche notizia, per il giornale. Quello che lei fa per i poveri, mi racconti ciò che crede».
«Parli dei poveri», disse, « c’è tanto bisogno».
La guardavo e mi accorsi che non era poi tanto vecchia, anzi aveva qualcosa di molto giovanile nel comportamento, qualcosa di fresco e di lieto che molti perdono negli anni. Era simpatica, per niente una donna come tante, all’aspetto; la trovai anche graziosa. Mi mostrò un libro: «E’ la mia strenna: ogni anno ne scrivo una», e dei foglietti che erano il giornalino dell’Opera, e lei scriveva tutto, col nome di Vittoria, dalla prima all’ultima riga.
Vi era, nel giornalino, una rubrica, Desideri, che annotava le necessità di una numerosa schiera di sconosciuti: «Gianni è piccolo e vorrebbe una tromba», «Mi occorre del latte Mellin», «Mariuccia, che si sposa, ha bisogno delle scarpe» (...).
E’ morta a cinquantasei anni, dilaniata dal male, e dietro alla cassa di quercia che conteneva il suo corpo leggero c’era un lungo corteo, i frequentatori di via Rolandino. Tante Mariucce, Gianni, tanti ometti con la tuba, giovani traviate, e anche facce note alla polizia. Non so chi, quest’anno, compilerà la “Strenna”, chi scriverà il giornalino. Io spero, un giorno, di vedere la maestrina in San Pietro: ma non le facciano, i pittori, l’aureola attorno al capo. Era una santa allegra, simpatica, portava un cappellino di panno marrone, da pochi soldi, e penso che quei raggi che dissolvono attorno alla testa non le piacerebbero, farebbero ridere .Santa Assunta Viscardi, che correggeva compiti e abbracciava le prostitute disperate."