Il 10 ottobre del 1914 Assunta, mentre insegnava a Chiavari, aveva aderito al Terz'Ordine Domenicano di Bologna, la sua città natale. A Bologna ritorna va di frequente, soprattutto per le vacanze estive. Il Terz'Ordine aveva la sua sede presso la Basilica che ospita la tomba di S. Domenico di Guzman, il Fondatore dei Domenicani. Ci fu poi la parentesi della sua adesione all'ideale contemplativo da realizzare nel Carmelo.
Tornata ora a Bologna - siamo appunto nel 1920 - convinta di doversi dedicare ai fratelli più che alla contemplazione, Assunta si riavvicinò alla spiritualità di S. Domenico, spinta anche dal fatto che presso il Convento dei Domenicani si radunavano molti ragazzi e ragazze che le Terziarie Domenicane raccoglievano per toglierli dalla strada, insegnare loro il catechismo e offrire uno spazio per i loro giochi infantili. Assunta si associò così alle sue consorelle Terziarie nel 1920-21.Fu questo il germe dell'"Opera di S. Domenico" che Assunta fa nascere nel 1921, anno del settimo centenario della morte del Santo. Scrive Assunta: «Sono tanti i ragazzi, molte le bimbe, che ogni domenica vengono innanzi tutto ad imparare chi è Gesù, che cosa sia t'anima e quali i doveri del vero cri stiano, e del buon cittadino, e poi a giocare nell’austero Chiostro dei Frati, lontano dalle strade ove la volgarità, la bestemmia e il vizio regnano sovrani.
«Vero è che anche un piccolo seme, buttato là dal vento, può far germogliare ima pianta rigogliosa... E del resto, non altro siamo, non altro dobbiamo essere, che seminatori della parola di Dio. A Iddio solo, il segreto e la forza della fecondità e della vita.... «Solo lo spirito di San Domenico poteva intendere una poesia [un ideale] quale è quella di perseguire, per educarli, i piccoli e grandi eretici della vita morale, solo un'anima di fede quale il Reverendo Padre Priore di S. Domenico poteva aprire il Chiostro a un'ospitalità di quel genere... bimbi, bimbe, delle più povere case e strade, da dirozzare, da rivestire, da istruire. «Non da programmi, non da idee prima vagliate e accettate è nata l'Opera, ma dall'amore, amore di Dio e amore dell'anima da Dio creata e da Lui stesso redenta. «Essa [l'Opera] è uno di quei fiori che da polline sparso germogliano improvvisi e inattesi, die attestano ancora ima volta la mirabile fecondità del seme evangelico, il ferace suolo che è il Terzo Ordine Domenicano. E questo nome, S. Domenico, è stendardo e programma, è lavoro, intelligenza, poesia, tenacia, preghiera e tenerezza. «L'Opera di S. Domenico è sorta dal nulla... ossia da quello che poi è tutto, da un cuore ardente di fede e di carità».
Gli Inizi
GLI INIZI DELL"'OPERA DI S. DOMENICO"
Da un Ricreatorio festivo, che divenne presto anche infrasettimanale, si iniziarono le visite alle famiglie dei bambini più bisognosi dal punto di vista affettivo e materiale. E venne a galla una verità paurosa e tremenda. Scrive Assunta: «Il Ricreatorio festivo ci ha fatto notare e avvicinare miserie morali mai supposte, ci ha fatto penetrare nel vivo dei bassifondi sociali dai quali si sollevano, a tratti, le spaventose ondate di ribellione, di violenza, di delitto che ci atterriscono...».
E ancora: «Noi conosciamo molti ragazzi e molte bambine che, sebbene abbiano il padre e la madre, vivono in stato di abbandono, in balìa della strada, l'intero giorno, perché i genitori non sentono nessuna coscienza dei loro doveri e delle loro responsabilità; testimoni di litigi, di parole odiose e d'altro, noi conosciamo ragazzi e fanciulle a cui è interdetta la scuola e il lavoro da genitori che li allevano all'accattonaggio, che sul provento della questua contano per vivere: altri girovaghi, ospiti del Dormitorio pubblico, ove il vizio, l'immoralità, la depravazione degli istinti è più totale che in case di peggiore fama».
Ad Assunta, alle altre Terziarie e alle altre signore che condividevano la sua azione si presentò subito come impellente la necessità di togliere quei ragazzi dai bassifondi della città, dall'ambiente malsano del Dormitorio pubblico, dalle case di tolleranza dove le bambine erano impiegate come inservienti, dagli angoli delle strade dove i ragazzini erano costretti all'accattonaggio.
La Casa Vivente
E così si delineò meglio agli occhi di Assunta il fine dell'"Opera di S. Domenico": il primo fine è una «forma di assistenza ai fanciulli ed alle loro famiglie, assistenza che ha portato a legittimare unioni, a riavvicinare a Dio anime molto lontane, a curare l'ammissione ai Santissimi Sacramenti di tanti ragazzi e di parecchie fanciulle che di molto avevano superato l'età; il secondo - e, direi così, più vasto fine - è questo: La totale salvezza del fanciullo. Perciò il suo ritiro dall'ambiente familiare, qualora ciò sia indispensabile: salvezza del fanciullo nelle due forme: di redenzione per quello già caduto; di preservazione per quello ancora innocente».
Trapiantarla, darle l'aria, la luce, il sole, l'ombra, la cura... come natura e arte richiede... che cosa si poteva fare per quelle infanzie in abbandono, avviate in gran parte all'accattonaggio, alla libertà sfrenata? Trapiantarle».
Sì, trapiantarle, ma dove? L'"Opera" non aveva case e mezzi. Tuttavia come si poteva dimenticare «Aldo e Nino, rimasti soli in una casa devastata dalla ubriachezza del padre, la prigionia della madre, la vita folle delle sorelle...?».
I due bimbi avevano la scabbia e, inoltre, c'erano altri tre fratellini, Armando, Giovannino e Seidita. Bisognava trovare un istituto adatto.
Furono queste estreme necessità, allora così frequenti, che portarono Assunta a ideare la "Casa vivente".